il senso del silenzio

non è infrequente che io me ne rimanga in silenzio. preferisco il silenzio a una frase improvvida, che non rifletta pienamente e compiutamente il mio pensiero. faccio così nella vita di tutti i giorni e anche quando sento di dover partorire pensieri più complessi. e durante il silenzio ascolto, ripenso, elaboro. spesso mi trovo di fronte a coincidenze poco fortuite per cui persone che solitamente ascolto e stimo mostrano dinamiche di pensiero simili alle mie, e giungono a conclusioni che io avevo soltanto intuito.

stavolta è più difficile del solito. sono più di due settimane che i miei pensieri stanno girando in tondo, senza trovare né il bandolo della matassa, né il giusto stimolo per indirizzarsi verso un’unica direzione; avverto che la necessità del cambiamento si è fatta urgente, ma che la soluzione, o l’alternativa al problema, non potrà essere rapida. come fare per conciliare le due cose?

nel frattempo, accadono cose e alcuni esprimono opinioni che in qualche modo io interpreto come segni di un unico complesso disegno. un evento simbolo della situazione attuale è il paragone tra la manifestazione del 15 ottobre e la calca delle persone all’apertura del centro commerciale di roma. voglio dire: magari tra quelli che si sono quasi picchiati per poter comprare un iphone a prezzo scontato c’era anche qualcuno che aveva manifestato in piazza il 15, e non era nemmeno tra i black bloc – non me ne stupirei: parlo con amici e conoscenti, persone di cui ho anche stima e che condividono con me aspirazioni e preoccupazioni, ma li vedo in genere poco convinti ad abbandonare uno stile di vita tutto sommato fatuo e fondato sul possesso della roba.

eppure, a ben guardare e se non ci facciamo infinocchiare dalla propaganda televisiva, è in gioco una posta ben più alta che dover rinunciare all’ultimo modello di telefonino; l’esperienza argentina dovrebbe bene insegnare qualcosa: soprattutto, che non dovrebbe essere necessario arrivare a scavare fin oltre il fondo del pozzo per poter risalire e tentare la strada di economie alternative, o perlomeno del ritorno a un’economia basata sulla produzione, anziché sulla finanza. in ogni caso, è impensabile l’ipotesi di una crescita indefinita e basata unicamente sull’accumulo di beni voluttuari: dobbiamo, ciascuno per sé, ripensare la nostra vita dando valore alle cose che effettivamente permettono una crescita morale e intellettuale, rifiutarci di accettare orari di lavoro al limite della schiavitù e rivendicare il diritto all’otium in quanto momento fondamentale e imprescindibile dell’esistenza umana (su questo, vedi anche il post del grande marziano).

è dall’atteggiamento di ognuno che deriva il comportamento della società intera, e oggi le scelte di vita personali diventano politiche in maniera determinante: credete che, di fronte a un’intera popolazione che altro non chiede che più roba, qualsiasi partito o coalizione di governo potrebbe fare altro che non continuare la spirale viziosa dell’indebitamento generale?

rinunciamo alla roba e rivalutiamo il tempo libero e la cultura come ricchezza reale degli individui: vivere con meno non significa necessariamente vivere peggio.

ganfione

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